sabato 21 febbraio 2009

Il PD sceglie di non scegliere

Potrà sembrare strano che dopo tanto non scrivere sul Blog, durante un periodo di ferma forzata (a causa dell'influenza che mi attanaglia), decida di mettermi alla tastiera e scrivere, soprattutto se l'oggetto è una realtà da me distante come il PD.

Devo ammettere che ho sempre guardato con ammirazione ed interesse all'intero processo di edificazione del Partito Democratico all'italiana, se non altro perché vi intravedevo da una parte il tentativo - credo anche abbastanza sincero - da parte dei vecchi gruppi dirigenti post-comunisti e post-democristiani di mettere da parte il passato, dall'altra perché tutto il percorso di avvicinamento al PD conteneva alcuni interessanti spunti per tutta l'Italia, a partire dall'idea (eccellente) delle Primarie. Che fossero e che siano più o meno "pilotate" - anche se per "pilotate" si intende l'ingerenza dei gruppi di vertice, non certo la falsificazione sistematica dei risultati - esse hanno introdotto un briciolo di "mobilità sociale" all'interno del maggior partito della sinistra italiana, con gli inevitabili seguiti di "contagio" virtuoso verso il resto del sistema politico, perfino verso il PdL, notoriamente più affine a procedure verticistiche (per quanto spesso azzeccate).

Anche di Veltroni ho sempre avuto - ed avrò - una buona impressione: certo, si vedeva lontano un miglio che molti suoi discorsi erano "pappette" e sciorinate di ovvietà in cui non credeva nemmeno lui, si sapeva che molte sue posizioni "rivoluzionarie" (come l'allontanamento dei comunisti dal PD) erano dettate dalla convenienza del momento, tuttavia già il fatto che abbia detto e fatto alcune cose merita rispetto, per lo meno il mio.

In queste ore convulse successive al suo "gran rifiuto" (ovvero le sue dimissioni da Segretario) va di moda suggerire che non fosse opportuno un suo così impulsivo abbandono, che il comandante non se ne va mentre la barca affonda, etc. etc. Tanti inutili "bla bla" a mio vedere.
A parte il fatto che mi è sempre apparso un tantino mitologica la metafora del comandante che resta sul ponte della nave che affonda: quando mai si è visto concretamente accadere questo? Mi si potrà citare Churchill contro i tedeschi nella II Guerra Mondiale oppure qualche altro esempio simile, ma sarebbe fuorviante: i vari Churchill & company non stavano su una barca che affondava ma su una barca che - per continuare la metafora - navigava in cattive acque, ma che aveva di fronte una prospettiva ed un obiettivo ben definiti. L'unico che ora mi sovviene sia rimasto sulla famosa barca in affondamento mi risulta fosse Hitler che, rinchiuso nel suo bunker di Berlino, aveva capito che non c'era più nulla da fare e trascinò che sé l'intero suo Paese: non proprio un esempio fulgente!

Perdonate questa digressione. In ogni caso Veltroni a mio parere bene ha fatto ad andarsene, e questo a mio parere perché ha fatto in modo di salvare quella certa coerenza di progetto (del tipo di partito dovesse essere il PD) che aveva fin qui dimostrato di avere, fondata su alcuni punti essenziali:
  • vocazione maggioritaria, con rifiuto di alleanze nazionali (e possibilmente anche locali) con partiti di sinistra estrema e preferenza per un PD grande ed indipendente;
  • rinnovamento dell'immagine della sinistra tramite l'inserimento di una buona dose di pragmaticità di idee al suo interno;
  • superamento della forma-partito '800-'900esca fatta di tessere e congressi per passare ad un modello più aperto, liberale e meno militarizzato, soprattutto tramite lo strumento delle Primarie.
Non ci vuole un genio per capire come sarebbero andati in alternativa i prossimi mesi di segreteria veltroniana: continue risse interne al PD, punzecchiature da parte dei dirigenti "amici", probabili sconfitte elettorali e quindi nuove accuse al Segretario, fino a fargli rinnegare a poco-a poco tutte le sue "scelte di campo" in nome del ritorno ad un modello di centrosinistra abnorme e sconclusionato come visto fino al 2008.
Non è difficile credere a Veltroni quando dice di non essere stato messo nelle condizioni di mettere del tutto in pratica il suo programma politico: avrebbe dovuto far fuori Bassolino, ma non ne aveva la forza né forse la possibilità "legale", avrebbe dovuto cacciare D'Alema, ma sapeva che non ce l'avrebbe potuta fare con un atto d'imperio, avrebbe dovuto fare una serie di cose che solo con poteri emergenziali e di "semi-dittatura" gli sarebbe stato concesso di fare. Ma queste stesse condizioni si possono verificare solo in condizioni di estrema emergenza, quando a rischio vi è la stessa sopravvivenza, in questo caso non tanto del PD come sigla ma dell'intera idea di un blocco alternativo al centrodestra.
Nonostante le sconfitte inanellate dalle Politiche 2008 ad oggi, però, quella sensazione straordinaria di pericolo non è ancora presente né nel gruppo dirigente del PD né in gran parte della base che, in fondo in fondo, sente un po' la mancanza delle invettive anti-berlusconiane.

La situazione in cui versa il PD è in fin dei conti una riuscita allegoria dell'Italia complessivamente intesa, ovvero un'entità in profonda crisi da anni, con urgente necessità di cambiare profondamente ma troverà il modo di farlo solamente quando sarà sull'orlo del baratro e dell'estinzione: solo allora l'istinto di sopravvivenza farà il suo dovere.

Quel momento tuttavia non è ancora arrivato. Anche oggi il PD, con l'elezione di Franceschini, ha dimostrato di non voler scegliere, perché timoroso delle conseguenze che certe scelte comportano: ci si vede a dopo le Europee...

Lord tojo