martedì 28 ottobre 2008

Scuola, sanità, proteste e federalismo

Era da tanto che preparavo mentalmente questo intervento, nato da varie discussioni fatte a tavola con i genitori, fuori con il mio tesoro e con gli amici, per finire ai famosi aperitivi della libertà del weekend, e come potete vedere contiene nel titolo già molte cose!

La verità è che questi giorni di proteste di studenti fuoricorso/fannulloni (la gran parte: basti vedere quanti anni hanno i "capi" della "ribellione") e professori ex-sessantottini mi hanno fatto venire voglia di approfondire il tema delle risorse della scuola e dell'università, chiedendomi se davvvero almeno una parte di ragione ce l'abbiano.
Così ho cominciato un po' ad informarmi, ho letto i passaggi della legge, seguito vari dibattiti, parlato con Iside (che fa la ricercatrice e quindi l'università la conosce bene), arrivando alla conclusione paradossale che entrambe le parti hanno ragione: ha ragione la Gelmini a dire che nella scuola/università esistono una marea di sprechi (posso citare la famigerata ploriferazione di corsi di laurea e sedi universitarie distaccate con un solo allievo!); hanno ragione (su alcune cose) gli studenti/ricercatori a dire che i tagli alla fine si ripercuotono sempre su di loro - "anelli deboli" del sistema e senza particolari "protezioni", se non strumentali - senza mai toccare gli altrettanto famigerati "baroni" che stabilmente se la cavano sempre.

Perchè? Forse per mancanza di sufficienti "palle" da parte dei vari ministri - compresa la Gelmini che, natura dominae, non possiede certi attributi -, molto probabilmente per scarsa conoscenza delle vere dinamiche di potere di lobbing interne alle strutture formative italiane. Strutture dove persiste l'omaggio feudale al Capo-Dipartimento e dove l'apparato amministrativo ha un potere gerarchico tale su quello tecnico-docente da umiliarlo più e più volte nei modi peggiori.
E' chiaro che una persona, anche armata di buona volontà ma non addentro alle logiche di potere di quegli ambienti, non potrà mai produrre una riforma decente e definitiva del sistema scolastico-universitario.

Vi è poi il problema annoso dei tagli - dolorosi ma necessari - ma che pongo sempre di fronte all'eterno dilemma "dove tagliare?", il quale porta sempre a scontentare qualcuno poichè tutti i destinatari della "cesoiata" si sentiranno più o meno giustamente "perseguitati".

Ecco, è proprio qui il nocciolo della questione. Da sempre in Italia, quando si tocca qualche settore, si sente sempre un eco di "vendetta" (politica, personale, classista), e questo accade per la mancanza di un criterio oggettivo - volevo dire "scientifico" - per valutare virtuosi e viziosi, ad oggi sempre sostituito dal sentimentum del legislatore che, quasi alla cieca, emette "sentenze" e commina punizioni una tantum.

E' qui che si comincia a capire il perchè del titolo di questo intervento.
Poichè credo sia umanamente impossibile che un Ministro possa conoscere la realtà di ogni singola scuola/università italiana, l'unica soluzione ragionevole che mi viene in mente è quella dell'applicazione di un sano, robusto e inappellabile Federalismo: voi direte "cosa c'entra?", ma leggete e capirete.

Stante che lo Stato italiano - come gli altri Stati europei ed occidentali - dispone di risorse scarse (ed in tendenziale diminuzione), è facilmente intuibile come esso non possa continuare a mantenere con i propri denari tutta l'attuale sistema di università e scuole, soprattutto quelle più disagiate (in montagna, nei paesini di campagna, etc.).
D'altra parte è sbagliato anche chiudere per decreto scuole ed università, proprio perchè difficilmente compresibile dalle comunità interessate, che giustamente griderebbero alla "persecuzione" nei loro confronti.

La soluzione può venire dall'applicazione del famoso criterio oggettivo di cui sopra.
Stabiliamo 1-2-3 parametri scientifici che misurino la qualità dell'insegnamento, la produttività della ricerca e l'economicità della gestione; quindi stabiliamo degli standard nazionali non rispettando i quali lo Stato centrale abbia il diritto/dovere di smettere di finanziare con denaro pubblico centrale le scuole e le università statali. Le strutture che - per inefficienze interne o per cronicità strutturali - non rientreranno negli standard potranno scegliere tra due opzioni:
  1. chiudere baracca e burattini, stavolta però con una giustificazione identica per tutti, e non più attribuibile a "vendette" e "complotti";
  2. restare aperte tramite un aumento delle tasse (o quelle di iscrizione/frequenza o quelle direttamente pagate dai cittadini della comunità cui la struttura "critica" afferisce).

Sono sicuro che con un sistema di questo genere non solo si eviterebbero moltissime strumentalizzazioni che si vedono in questi giorni - perchè è più difficile cercare di smentire i crudi numeri rispetto ad una decisione personale di un Ministro - ma credo anche che molte strutture, oggi cronicamente in perdita ed in crisi, si risolleverebbero, spronate dalla "spada di Damocle" del rispetto dei parametri: una sorta di Patto di Stabilità delle strutture pubbliche sul modello di Maastricht.

Voi vi chiederete anche perchè il titolo comprende la sanità. Molto semplice: lo stesso criterio si potrebbe benissimo applicare al Sistema Sanitario Nazionale con - ritengo - ottimi risultati in pochissimi anni. Ma di questo parlerò (se avrò voglia) un'altra volta...

Un caro saluto a tutti i pochi sbandati che leggeranno!

Lord tojo

lunedì 6 ottobre 2008

Crisi finanziaria ed ottimismo

Bella gente, nella ripresa dell'aggiornamento del blog di qualche giorno fa avevo accennato all'inenzione di scrivere un pezzo in merito all'attuale crisi finanziaria ed economica, ed ora intendo mantenere la promessa, anche se il mio non sarà un pezzo "tecnico" ma una pura riflessione personale.

Soltanto pochi mesi fa avrei dato una lettura molto diversa da quella che ho adesso della situazione attuale, in particolare avrei dato maggior credito agli interventisti (leggi "statalisti") e portato come buon esempio di soluzione di una grave crisi le politiche keynesiane degli anni '30 (altrimenti conosciute come New Deal): di conseguenza avrei visto con favore le politiche economiche "espansive" di queste ultime settimane.
Il mio punto di vista è radicalmente cambiato dopo l'incontro - grazie al libro di Munrey Rothbard "La grande depressione" - con la scuola economica detta "austriaca" (poichè i suoi maggiori esponenti erano emigranti austriaci negli USA), versione sottovalutata e poco conosciuta del liberalismo economico.

Ora, non sono qua a tenere una lezione di "austroliberismo" (così come c'era l'austromarxismo...), nè avrei le competenze necessarie per farlo, però posso comunicarvi in pillole quanto ho capito di questa scuola di pensiero.
Per farla estremamente semplice, gli austriaci dicono questo:

  • nel mercato economico/finanziario "allo stato brado", ovvero senza interferenze esterne, esiste un tasso di interesse detto "naturale" dato dalle preferenze temporali degli individui (consumare di più oggi o domani? E per consumare domani quanto mi dovranno dare in quella data più di oggi?);
  • le preferenze temporali degli individui-consumatori determinano in ogni momento la decisione degli imprenditori di come allocare gli investimenti: una maggiore propensione al consumo immediato scoraggerà gli imprenditori dal fare grossi investimenti per concentrarsi sull'offerta attuale; viceversa in caso di preferenza per il consumo differito;
  • il sistema bancario, in primis le banche centrali, grazie alla possibilità di poter prestare molti più soldi di quanti non ne detengano a garanzia (in ogni corso di economia monetaria insegnano infatti che le banche si reggono in piedi grazie alla speranza che non tutti i correntisti vadano a farsi restituire il denaro nello stesso momento: in caso contrario il fallimento sarebbe inevitabile), "drogano" il mercato ed in particolare il livello naturale del tasso d'interesse. Offrendo infatti molto più denaro in prestito di ciò che sarebbe normale, contribuiscono ad abbassare artificiosamente il tasso d'interesse dal suo livello di equilibrio sancito dalle preferenze temporali;
  • l'imprenditoria, tratta "in inganno" dai bassi tassi, cerca di approfittarne per effettuare investimenti a grande intensità di capitale e ritorni lontani nel futuro; tuttavia i bassi tassi bancari in realtà non corrispondono a mutate condizioni di preferenza dei consumatori;
  • la conseguenza è che il sistema industriale, a causa della "distorsione" dei tassi d'interesse, effettuerà molti più investimenti del necessario fino a quando o la stessa politica di investimenti (e di costi) diverrà insostenibile per le imprese (poichè le preferenze dei consumatori in realtà non sono cambiate), o qualche fattore esterno non "ingrippi" il sistema bancario, facendo diminuire il credito di questo verso le imprese (credit crunch);
  • il risultato finale è - o dovrebbe essere - fallimenti a catena delle imprese che più si erano esposte in investimenti a lungo termine più del dovuto, e conseguente recessione: non è un caso infatti che anche nei periodi di crisi più cupa le industrie più "vicine" al consumatore vadano comunque abbastanza bene, mentre siano quelle a più alta intensità di capitale a soffrire.
Ecco, se confrontiamo la realtà odierna con i postulati degli austriaci, vediamo molte analogie, a partire da un credito bancario smisurato (con tassi d'interesse ai minimi storici, attorno all'1-2% per molti anni di seguito) passando per una politica di investimenti in beni capitali molto elevata.
Pertanto, se la teoria austriaca è vera, le soluzioni proposte ora (come negli anni successivi al 1929) sono assolutamente inadeguate, poichè in qualche modo perpetuano - questa volta sotto l'ombrello statale e para-statale (delle banche centrali) - l'eccesso di offerta di credito e l'allontanamento del tasso d'interesse dal suo livello naturale: in un certo senso ogni € immesso per salvare il sistema in realtà è un € che contribuisce ad affossarlo e a perpetuare la crisi.
Secondo gli austriaci la cosa migliore da fare sarebbe permettere alla crisi di svilupparsi per intero, esattamente come una malattia, e di seguire il suo decorso fino alla guarigione.

Ora, non ho approfondito a sufficienza la materia - e probabilmente non lo farò mai abbastanza - per poter dire se quello che io chiamo austroliberismo sia una dottrina convincente; di sicuro questa crisi sarà un'ottimo test per verificare la "tenuta" delle leggi economiche attualmente più accreditate.

Inoltre, dal punto di vista più strettamente "terra-terra", non condivido il catastrofismo ed il pessimismo aleggiante: una crisi come questa, lungi dal segnare la fine del capitalismo, ne testimonia la vitalità e la capacità di scrollarsi (seppur a costo di crisi profonde) i germi di politiche sbagliate, e quindi di rinnovarsi. Per giovani come noi una situazione del genere, se ben sfruttata con un minimo d'ingenio, può rappresentare una grandissima opportunità imprenditoriale, perchè molte posizioni sicure e di rendita sono venute meno, aprendo immense praterie per chi abbia buone idee ed un po di coraggio.

In ogni caso, come diceva Gandalf il Grigio nel Signore degli Anelli, in riferimento a chi si lamenta di essere nato in tempi "grami":

[...]Vale per tutti quelli che vivono in tempi come questi, ma non
spetta a loro decidere; possiamo solo decidere cosa fare con il tempo che ci
viene concesso.

Lord tojo

sabato 4 ottobre 2008

Ritorno alla vita!!

Cari amici affezionati di questo sbandatissimo blog, dopo una lunga assenza (di cui però ho dato ampia giustificazione sia su queste pagine che su MSN, Facebook etc...) dettata dall'imperativo categorico di laurearmi in tempo per cominciare la specialistica, torno finalmente ad animare il caro blog.

Innanzi tutto posso darvi una bellissima notizia: sono riuscito a terminare gli esami e la Tesi triennale (dal titolo serioso "Spunti per un'interpretazione dell'ultimo shock petrolifero (2007-2008): speculazione o fondamentali?") e da pochi giorni sono stato ammesso alla sessione di laurea di ottobre 2008 (proclamazione a novembre), per cui ho potuto cominciare senza patemi il corso specialistico di Amministrazione Finanza e Controllo (un mix tra Finanza ed Economia Aziendale), e da adesso posso anche fregiarmi del frivolo titolo di "Dottore in Economia Finanziaria", per quel che può valere una laurea triennale al giorno d'oggi...

Con settembre ho però dovuto riprendere in mano anche tutti i vari dossier che avevo sul tavolo, dalle cose serie a quelle più facete ma comunque importanti ed in sospeso, a cominciare dal mio impegno politico passando per i miei studi di approfondimento economico fino al riprendere i contatti con il mondo reale e degli amici. Tra le novità positivissime dall'ultima volta che avevo scritto su questo blog c'è l'incontro che ho fatto con una persona stupenda con cui mi trovo veramente bene e che amo tanto: mi riferisco alla mia adorata Iside...

Ovviamente con la ripresa delle pubblicazioni sul blog ricominceranno anche le rubriche che, a dire il vero con scarsa frequenza, tenevo; oggi stesso avrei voluto ricominciare con qualche riflessione sull'attuale crisi economica, da etichettare come Divulgazione Economica, ma una chiacchierata a tavola con i miei genitori mi ha fatto cambiare idea: parlerò dell'assurdità dei prezzi del pane.

Diceva mia madre che al kilogrammo il pane oggi costa un'enormità, dai 3 ai 4 € (!!), ed elogiava la nostra fortuna di avere un forno a legna in casa nostra ad Ottone, dove facciamo (o meglio, fanno i miei genitori...) il pane quasi ogni settimana, con conseguente nostro grande risparmio.
Ho chiesto a mio padre per informazione quanto costasse una farina normale al kilo e quanto la legna (input fondamentali per il pane): la risposta è stata circa 80 centesimi per la farina e 10 centesimi per la legna; aggiungendoci anche 20 centesimi forfettari per altre materie prime ausiliarie (come sale, olio e lievito), arriviamo ad 1,1 € al kilo di costi di produzione del pane. Vogliamo aggiungerci altri 40 centesimi per remunerare spese accessorie come la luce e per farci un discreto guadagno? Arriviamo ad 1,5 €/k, ovvero niente a che vedere con i prezzi stratosferici che si leggono oggi giorno!!
E' chiaro che i fornai e panettieri "ci fanno clamorosamente dentro" e che hanno in qualche modo costituito un trust (un cartello monopolistico), anche solo a vedere i prezzi perfettamente omologati tra i rivenditori singoli (i supermercati sono un mondo a parte): è come se tacitamente avessero deciso di farsi concorrenza solo sulla qualità del prodotto e non sul prezzo; peccato che di questi tempi alla gente importi poco assai della qualità del pane, quando magari non ha nemmeno quei 3-4 € necessari a comprarlo!!

Vabbeh, questa era la mia parentesi polemica per battezzare bene l'inizio di autunno del blog e la sua riapertura... continuate a leggermi (se avete voglia), un salutone a tutti quanti!!

Lord tojo