Un giovane Dottore in Economia Finanziaria che muove i suoi primi passi durante la peggiore crisi economica dal 1929...
martedì 7 dicembre 2010
Trasloco imminente...
Tojo
mercoledì 23 giugno 2010
Tasso privo di rischio, il caro estinto
Per parlare di tasso d'interesse privo di rischio è necessario prima introdurre i concetti di rischio sistematico (e non diversificabile) e rischio specifico (e diversificabile):
- il rischio sistematico è, per usare una semplificazione, il rischio insito nel sistema finanziario, inteso come un unico corpo su scala mondiale. Sempre a grandi linee è il rischio che un operatore (come può essere un qualsiasi individuo che investe in Borsa) deve accettare, se vuole partecipare alle transazioni economico-finanziarie: questo tipo di rischio comprende macro-fattori non governabili dalla razionalità umana, come ad esempio guerre, calamità naturali, tensioni politiche, etc. Proprio per queste ragioni il rischio sistematico è anche detto "non diversificabile", in quanto non esiste alcun modo per attenuare ex ante, da parte degli operatori, il rischio che un investimento vada male per colpa di un tornado o di un golpe;
- il rischio specifico è per certi versi complementare al rischio sistematico (nel senso che si somma sempre a quest'ultimo, aumentando la grandezza del rischio complessivo) e rappresenta le criticità che ogni singola attività finanziaria (azioni, obbligazioni, etc.) o reale (terreni, immobili, imprese, etc.) possiede, al di là dei fattori di rischio "ambientali", che corrispondono al rischio sistematico. Un esempio aiuterà a capire: il titolo FIAT potrà scendere sia perché una catastrofica alluvione ha distrutto la sua fabbrica in Polonia (rischio sistematico, non ponderabile ex ante), sia perché l'impresa ha tanto debito e quindi gli investitori temono possa fallire (rischio specifico dell'impresa FIAT, che pertanto è possibile evitare o "diluire", per l'appunto con un'operazione di diversificazione dei propri investimenti, per esempio comprando anche titoli della Volkswagen).
giovedì 17 giugno 2010
Un angolo di Svizzera a due passi da Piacenza
- Sindaco ed assessori non percepiscono alcun stipendio o "gettone" di presenza (primo caso in Provincia di Piacenza) e con i soldi risparmiati (decine di migliaia di euro) ogni anno il Comune può comprare un mezzo per la manutenzione ordinaria/straordinaria di strade e sentieri;
- sono state fatte importanti donazioni spontanee - non c'è alcuna legge che lo prescriva o lo suggerisca - all'ospedale ed alla scuola superiore di Bobbio, importantissimi presidi sul territorio montano dell'Alta val Trebbia, che tutti a parole difendono, ma che poi in pochissimi aiutano con i fatti;
- sono state informatizzati gli archivi e le procedure del Comune, risparmiando tempo e denaro;
- è stata migliorata la scuola elementare/media, dotandola di attrezzature d'avanguardia, così da attirare addirittura bambini da altri Comuni e Province (per esempio Brallo di Pregola, nel pavese);
- è stata completamente messa e nuovo e riasfaltata la strada comunale verso Suzzi, recentemente distrutta da una tremenda frana, per un costo di appena 30.000 € tutto incluso!
- è in via di costruzione un centro di stoccaggio per grandi rifiuti domestici (come lavatrici e stufe), cui i cittadini potranno consegnare gratuitamente la propria immondizia, potendo addirittura chiedere che gliela si venga a prendere, anche in questo caso senza costo!
Molto altro ci sarebbe da dire, ma credo che possa bastare per farci capire una cosa importantissima: non sono i soldi che mancano, ma la capacità (e soprattutto la voglia e l'onestà) di amministrarli bene, come il famoso "buon padre di famiglia" del Codice civile italiano!
Se un Comune di alta montagna senza particolari attrattive (che non siano l'aria buona e la natura incontaminata) riesce ad avere avanzi di bilancio così cospicui, a fronte di servizi non tagliati, ma addirittura migliorati, immaginate quali margini di manovra possano avere Enti ben più "ricchi", come Capoluoghi di Provincia, Province, Regioni ed ovviamente Stato!
Ah, dimenticavo un piccolo particolare: la succitata Amministrazione comunale i soldi non li ha trovati in un forziere sottoterra, ma li ha recuperati da una tenace e senza quartiere guerra agli sprechi ed alle spese ridondanti...
Ops!... ;-)
Lord Tojo
http://tojothelord.blogspot.com
martedì 1 giugno 2010
I tedeschi e l'acqua calda
Arrivo sempre con lo scrivere con almeno un giorno di ritardo i miei personali (e forse futili) commenti sull'attualità, ma di questi tempi (di poco tempo libero) è pur sempre qualcosa: piutòst che gnìnt a l'è mèi piutòst diciamo noi a Piacenza!
Avrete forse letto del "dimissionamento" - che equivale, seppur in termini meno crudi, alla famosa pistola con pallottola riservata agli imputati durante i processi-farsa dei regimi totalitari: della serie "o ci pensi tu, o ci pensiamo noi" - del Presidente federale della Germania, Horst Koehler.
Che cosa avrà mai fatto di male quest'uomo, il cui potere è persino più limitato di quello di un Presidente del Consiglio italiano?
Ha "osato" timidamente insinuare che "forse" i tedeschi stanno con le loro truppe in Afghanistan "anche" per tutelare i loro interessi economici (che sono i più disparati: dal rifornimento di petrolio tramite l'oleodotto afghano, al mantenimento di buoni rapporti politici, e quindi commerciali, con gli USA, etc. etc.).
Di per sé questo siluramento non dovrebbe stupire, visto che è arcinoto che ai politici di alto livello è vietato sistematicamente raccontare le cose come stanno. Ma il fatto però è un altro.
L'algoritmo alla base del "prepensionamento" del Presidente è il seguente: la gente è contraria alla guerra, se "ci scappa" che nelle missioni di guerra effettivamente si fa la guerra, addio consensi e rielezione.
Ok, ma questo ragionamento - permettetemi - è un po' "datato" e non più attuale, nella situazione odierna di profonda crisi economica.
Oggi siamo (noi occidentali N.d.Tojo) messi economicamente così male, che saremmo disposti praticamente a tutto, pur di recuperare il benessere che stiamo perdendo (e che continueremo a perdere, andando avanti così): tradotto in soldoni, tutto ciò che potrebbe rimettere in moto l'economia ci sembra più apprezzabile, perché ne va del nostro posti di lavoro.
Adattato al caso particolare di Koehler, oggi viviamo un'epoca dove anche il pacifismo si è messo in cassa integrazione, soppiantato dal pragmatismo e dalla Realpolitik (parola che i tedeschi hanno inventato, ma che pare abbiano dimenticato): se quindi stare in Afghanistan aiuta la nostra economia a stare meglio, siamo assai meno disposti a dissertare su questioni di principio.
Koehler in questo senso ha detto una cosa che probabilmente oggi appare molto meno "difficile da digerire" di due anni fà, solo che gli schemi del politically correct tedesco non si sono ancora aggiornati...
Lord tojo
venerdì 28 maggio 2010
Il 27 maggio di 6 anni fà moriva il grande Umberto Agnelli
Ci tengo molto a commemorare questa ricorrenza, quasi come se si trattasse di quella di un parente stretto, perché credo che ricordare la figura di Umberto Agnelli possa essere utile nella grande e spesso perdente battaglia che il merito, la bravura e la discrezione devono combattere ogni giorno contro il privilegio (dinastico), la raccomandazione e la strafottenza idiota. Tanto più in Italia!
Ma chi era Umberto Agnelli per dare alla sua figura un "compito" così gravoso (che sono sicuro nemmeno lui apprezzerebbe o desidererebbe)?
Il "Dottore" - come era soprannominato dalla stampa finanziaria - era il fratello minore del ben più (a torto) noto Giovanni Agnelli, alias Gianni, alias semplicemente l'Avvocato (sebbene non fosse che semplicemente laureato in Giurisprudenza: della serie che secondo certi "incensatori" anche la mia amica Erika, recentemente laureatasi, potrebbe essere avvocato in questo modo...).
La morte prematura del di loro padre, Edoardo (figlio del senatore Giovanni Agnelli, fondatore della FIAT), fece sì che Gianni diventasse de facto "il padre" di Umberto, rispetto al quale aveva ben 13 anni in più.
Questa sorta di "tutela" segnerà per sempre Umberto, che vivrà sempre nell'ombra del fratello, nonostante le sue potenzialità e capacità - a volte per stessa ammissione di Gianni - fossero spesso più grandi e brillanti.
Senza pretesa di esaustività diamo una veloce scorsa alle capacità ed alle intuizioni di questo fratello minore "solo per anagrafe".
Da Presidente della Juventus (dal 1959) fece raggiungere alla squadra grandissimi successi, rendendola un'azienda profittevole - caso più unico che raro in Italia e nel mondo, dove le squadre di calcio sono poco più che un giocattolo per adulti.
Nel 1963 Umberto assume la guida di quella che fino ad allora era stata semplicemente una tra le tante società della galassia IFI-FIAT, l'Istituto commerciale laniero italiano, da lui trasformato in holding di partecipazioni e ridenominato Istituto finanziario laniero italiano, o più semplicemento IFIL. E' da questa "scatola vuota" che Umberto dimostrerà di essere indubbiamente l'unico tra i fratelli Agnelli con reale spirito imprenditoriale.
Tramite l'IFIL Umberto Agnelli creerà il primo fondo di private equity ante litteram, comprando e vendendo imprese ad un ritmo vorticoso in pochi anni e realizzando sempre laute plusvalenze, tramite quotazioni in Borsa o cessioni di pacchetti azionari a terzi: tra le moltissime società finite nell'orbita-IFIL troviamo l'impresa motociclistica Piaggio (da Umberto poi affidata alle sicure mani dello sfortunato figlio Giovanni Alberto, Presidente in pectore del Gruppo FIAT e grande intelligenza, stroncata a trent'anni da un rarissimo tumore), la catena di grande distribuzione La Rinascente, la Toro Assicurazioni, la catena di viaggi Alpitour, i gruppi turistici I Viaggi del Ventaglio e Club Med, una quota significativa della francese Danone, moltissime industrie agro-alimentari italiane di pregio come Galbani, la grande banca italiana San Paolo di Torino, la società cementiera Unicem e poi moltissime altre imprese e società finanziarie in Europa ed USA.
Tutte queste partecipazioni rappresentarono sempre più il "polmone finanziario" del Gruppo FIAT, il quale, ogni qual volta andava in crisi, "bussava" alle porte dell'IFIL per chiedere iniezioni di capitali freschi, i quali arrivavano puntualmente dalle dismissioni di quote azionarie e dalle plusvalenze di volta in volta realizzate: su tutte le due operazioni più importanti per FIAT furono il riacquisto, da parte di IFIL, delle quote della casa automobilistica possedute dalla Lafico di Gheddafi (nel 1986) e la contribuzione agli aumenti di capitale dei primi anni 2000, quando FIAT sembrava sul punto di fallire.
Ma il ruolo di Umberto non si ridusse certo a quello di "prestatore/salvatore di ultima istanza", infatti ebbe per due volte ruoli operativi dentro la "casa-madre", dando in entrambi i momenti un contributo fondamentale per il futuro del Gruppo.
La prima volta accadde negli anni '70, quando Umberto divenne Amministratore delegato di FIAT e riorganizzò l'impresa, "divisionalizzandola" (ovvero separando le varie produzioni, come auto, camion, trattori, etc., in società distinte e con un proprio bilancio, il che aumentò la trasparenza interna) e chiamando a Torino l'ingegner Vittorio Ghidella, "padre" della Uno e della Tipo, modelli di grande successo per la FIAT. Fu costretto ad allontanarsi dall'incarico di AD per contrasti con Mediobanca - dominus della finanza italiana per 40 anni - e con il grande "protetto" di quest'ultima, il futuro AD e Presidente FIAT Cesare Romiti.
La seconda presenza operativa in FIAT di Umberto Agnelli è piuttosto recente e va dal 2003 al 2004, quando assunse la Presidenza del Gruppo, a seguito della morte del fratello Giovanni e del disastro in cui versava la casa automobilistica dopo 30 anni di "cura" romitiana. Di questo breve lasso di tempo basta ricordare una cosa, per far capire quanto anche in questo caso "il Dottore" vedesse lontano: l'attuale riveritissimo e bravissimo AD Sergio Marchionne fu cooptato nel CdA FIAT proprio su desiderio di Umberto, che imparò a conoscere il manager vedendolo all'opera in una delle società della "sua" IFIL.
La morte improvvisa nel 2004 ha impedito ad Umberto di godersi il meritato trionfo, consistito nel grande rilancio di FIAT da parte dell'uomo che aveva scelto, confermando anche nell'ultima scelta un modus vivendi che ha caratterizzato questo Agnelli " sobrio" per tutta la vita: lavorare (bene), ma senza clamore, sfiorando l'anonimato.
Possa questo breve articolo su un blog sconosciuto restituire un po' di meritata gloria "postuma" ad Umberto, geniale fratello minore obliato dal fscino "glamour" e fallimentare dell'Avvocato, capace di fare "vita sociale", ma non industria...
Lord tojo
domenica 16 maggio 2010
Tagli annunciati e che mai avverrano (ai privilegi politici) ed alcune anticipazioni
[...] LA PROPOSTA - «Proporrò in sede di Governo, quando affronteremo la manovra finanziaria, un taglio almeno del 5% agli stipendi di ministri e parlamentari come hanno fatto in Inghilterra e Portogallo», spiega il ministro della Semplificazione legislativa e coordinatore delle segreterie nazionali della Lega Nord. «A breve dovremo affrontare una manovra che prevede tagli e strumenti per il rilancio dell'economia», aggiunge Calderoli. «I tagli alle spese - conclude l'esponente leghista - comporteranno sacrifici per tutti, a partire da ministri e parlamentari. La regola del 5% che hanno applicato in altri Paesi può valere in alcuni settori, ma in altri potrebbe essere anche più pesante». (Fonte: Ansa). [...]
[...] BINDI: SI' TAGLI ALLA POLITICA, MA SERI - Rosy Bindi, anche lei dalla marcia Perugia-Assisi, sottolinea: «Il taglio dei costi della politica va fatto seriamente, perché le misure annunciate sono una spolveratina demagogica che non risolve il problema». «Il Governo - ha detto la Bindi ai giornalisti - si assuma fino in fondo le proprie responsabilità rispetto alla crisi in atto, riconosca i suoi errori e nel momento in cui si chiedono al paese sacrifici agisca anche per favorire la crescita, colpire i privilegi e con norme contro l'evasione fiscale, che non siano quei condoni serviti a coprire la corruzione. [...]
[...] CICCHITTO: TAGLI ANCHE A REGIONI E PROVINCE - Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, fa delle aggiunte alla proposta di Calderoli di tagliare del 5% gli stipendi di parlamentari e ministri. «Vanno considerate tutte le voci riguardanti il taglio della spesa pubblica e i costi della politica. Il ministro Calderoli ne ha ricordati alcuni, noi ne ricordiamo anche altri. Bisogna tagliare o bloccare la spesa di Regioni, Regioni speciali e delle province, in attesa del loro superamento, previa però, per evitare di fare demagogia, riassegnazione delle loro funzioni». [...]
[...] LA RUSSA: DEVOLVERE UNO STIPENDIO - «Ho già una proposta precisa: devolvere ogni anno uno stipendio intero di tutti coloro che hanno responsabilità politiche o manageriali connesse alla politica. Il valore corrispondente dello stipendio sarà rimesso alla Finanziaria, magari scaglionato o rateizzato negli undici mesi». Così il ministro La Russa a margine della celebrazione del 158esimo Anniversario della Fondazione dei Bersaglieri a Milano. Per il ministro in ogni caso bisogna stare attenti a non fare demagogia: «La proposta di ridurre gli stipendi sarà opportuna quando e che faremo una manovra finanziaria che produca sacrifici per gli italiani, quindi non è qualcosa che ha a che fare con la casta se no sarei contrario». [...]
mercoledì 28 aprile 2010
Nota esplicativa al precedente articolo e saluti
Ciò che ho scritto non è il mio auspicio - ci mancherebbe! - ma il mio presentimento: temo infatti che a livello di policy makers stiano seriamente facendo un pensierino sulla possibilità di usare l' "opzione zero" inflattiva per "cancellare la lavagna" e liberarsi del debito.
Aggiungo però un invito alla riflessione, basato sulla cruda e dura Realpolitik che il mondo di oggi ci offre: meglio un "classico" default generalizzato di Governi, imprese e famiglie (in forza dell'impossibilità materiale di ripagare tutti i debiti) oppure una tremenda inflazione, che "bruci" i debiti?
La prima scelta è più "corretta" e va nella "direzione morale" più giusta, nell'ottica - che anch'io ho sempre sostenuto - del "chi sbaglia paga": nel caso in oggetto per pagare si intende la fine sostanziale del welfare state, licenziamenti di massa nel settore pubblico, rialzo delle tasse. Questo perché un fallimento mette un Paese sovrano nell'impossibilità di ricorrere all'indebitamento sui mercati finanziari, ragion per cui il bilancio statale deve essere fatto quadrare con le sole risorse interne (leggi: tasse), le quali spesso non sono sufficienti e rendono quindi obbligato un taglio radicale della spesa pubblica.
La seconda scelta è più "da furbetti" ed è anche quella storicamente più utilizzata dai Governi in difficoltà con il debito - la Germania di Weimar alle prese con le c.d. riparazioni di guerra ricorda niente? - ed ha come conseguenza negativa il crollo del sistema monetario fiduciario (ovvero quello basato sulla cartamoneta), in forza del venir meno della sostanziale stabilità del potere d'acquisto e quindi del valore nominale del denaro.
Non so quale delle due cose sia "meglio": personalmente non mi augurerei nessuna delle due, tuttavia il realismo ed il pragmatismo mi dicono che sono queste le due opzioni che abbiamo - o meglio: hanno i Governi - davanti...
Sperando di aver chiarito come la penso, ne approfitto per salutare i pochi lettori del blog: sto per andare in campagna a godermi un po' di aria buona ed a studiare in pace, lontano dalle mille distrazioni che mi perseguitano.
Ci leggiamo tra una decina/quindicina di giorni!
Lord tojo
martedì 27 aprile 2010
Una fiammata d'inflazione (forse) unica via per la salvezza
Tuttavia voglio arrischiare questa considerazione/previsione su quella che secondo me è la vera ed unica exit strategy di medio periodo dai cumuli di debito che minacciano giorno dopo giorno le economie mondiali, sia a livello di individui, quanto a livello di imprese e Stati (caso-Grecia di questi giorni docet): l'inflazione.
Gli effetti devastanti (e quindi negativi) dell'inflazione sono abbastanza noti, meno quelli (a prima vista inaspettatamente) positivi.
L'inflazione è come un'enorme svalutazione, che fa valere meno il denaro in termini di potere d'acquisto, in forza della spirale ascendente dei prezzi: essa è vista normalmente come il fumo negli occhi dai cittadini-consumatori, perché un incremento rapido/rapidissimo dei prezzi dei beni di consumo abbassa drasticamente il loro tenore di vita, visto che gli stipendi normalmente crescono assai meno dei prezzi durante le crisi inflattive.
Questo in condizioni "normali".
Oggi siamo invece di fronte all'eccezionale situazione in cui contemporaneamente individui/famiglie (tranne pochi Paesi, come Italia, Giappone e Cina), imprese e Paesi sovrani sono mostruosamente indebitati: questi "macigni" debitori sono oggi la vera ipoteca su qualsiasi ripresa economica, che pure è ben lontana dall'essere prossima.
Con il c.d. servizio del debito - alias interessi passivi e rimborso della quota-capitale - individui/famiglie, imprese e Governi hanno un flusso costante di denaro in uscita che non può essere eluso; questo significa che una buona parte del reddito personale/familiare, societario e statale (altrimenti detto PIL) è "immobilizzato" nel rimborso, rendendo così assai sottili i margini di spesa autonoma in consumi (per individui e famiglie), investimenti (per le imprese) e sviluppo/ricerca (per gli Stati).
L'inflazione come c'entra in tutto questo?
Il meccansimo è più o meno il seguente: oggi un certo cellulare costa (ipotizziamo) 100 €, il mio reddito da lavoro è di 50 € e quindi, per comprarlo, mi indebito per 50; se arriva una forte inflazione - dove per forte si intende a due cifre, tipo il 20% - il mio debito resta sempre al suo valore nominale di 100 €, ma nel frattempo è molto probabile che il mio datore di lavoro mi abbia ritoccato all'insù lo stipendio (pur senza riuscire a tenere il passo con l'aumento generale dei prezzi, che avran portato il costo del cellulare a 120 €), ad esempio a 60 €.
Qual è il risultato? Che ora, invece di dover usare un mio intero stipendio/reddito per pagare il mio debito di 50 €, ora me ne basterà una porzione (seppur grande).
E' questo l'unico "miracolo" dell'inflazione: essere un'enorme gomma per cancellare il debito, in forza del fatto che grandissima parte dei debiti sono scritti in termini di moneta nominale - i nostri 50 € - e non di potere d'acquisto.
Detto questo è facile comprendere quale potrebbe essere il beneficio per famiglie, individui, imprese e Governi indebitati da una "salutare" fiammata inflazionistica: d'un tratto vedrebbero i loro debiti de facto cancellati (o comunque resi "inoffensivi"), senza doversi sottoporre a misure di austerity, tagli di bilancio e tutto il repertorio che si sfoggia in periodi di crisi.
Le altre facce della medaglia? Che chi ha prestato i soldi, alias creditori - ad esempio i detentori di titoli di Stato, come le nostre famiglie -, vedrebbero il loro investimento andare in fumo; inoltre un'elevata inflazione per troppo tempo/fuori controllo rischia di essere una medicina peggiore della malattia, visto il codazzo di instabilità economica (leggi: crollo del sistema monetario) che si porta dietro.
Sarà questa la strada che a livello mondiale sarà intrapresa? Non lo so, molto dipenderà da calcoli da "male minore" e dal consenso che una soluzione simile potrebbe avere: con un'elevata inflazione sarebbero più i favoriti od i danneggiati?
Non è facile dirlo, visto che ci sono molti soggetti economici che ne avrebbero tanto da guadagnare quanto da perdere (e.g. le grandi banche): per converso una certa propensione per l'avventura inflazionistica sembra oggi essere condivisa dalle Banche centrali dei principali Paesi industrializzati, con la perdurante politica del "denaro facile" (tramite bassi tassi d'interesse) di questi anni...
Vedremo!
Lord tojo
lunedì 26 aprile 2010
Quando il politicamente corretto "inciampa" sull'alfabeto
Stavo guardando su internet notizie riguardanti Agorà, film di recente uscita nelle sale italiane, quando ho notato una cosa sulla locandina (riprodotta in testa all'articolo) che sicuramente ogni conoscitore dell'alfabeto greco non potrà non aver notato: quelle che apparentemente sembrerebbero due alpha maiuscole (l'equivalente delle latine a) in realtà sono due lambda maiuscole (leggibili in italiano come elle).
In pratica si dovrebbe leggere correttamente Lgorl, invece che Agorà!!!
Svarione? Ignoranza? Non credo.
A mio modesto avviso gli ideatori della locandina hanno messo quelle due lambda di proposito, perché probabilmente hanno ritenuto che esse dessero un aspetto "più greco/classico" rispetto a delle "banali" a/alpha.
Non c'è che dire, questo film si prospetta sotto molti aspetti come il trionfo del politicamente corretto e della banalizzazione sotto tutti i profili: discredito aprioristico del Cristianesimo e stereotipizzazione persino dell'alfabeto di una delle lingue classiche per eccellenza!
Lord tojo
P.s. Comunque intendo andare a vederlo: spero di potermi ricredere!
sabato 24 aprile 2010
Luca Ricolfi, ovvero il giornalismo che (qualche volta) parla chiaro
In attesa però di chiarirmi le idee e magari scrivere un parere tutto mio, non posso fare a meno di dare risonanza (per quel che questo blog può) ad uno dei migliori e più chiari articoli che abbia mai letto su un quotidiano nazionale: l'autore è l'editorialista de La Stampa e scrittore Luca professor Ricolfi (di cui invito a diventare fan su Facebook) e "non bada a spese" nel mettere a nudo quale sia la vera posta in gioco nell'attuale scontro politico italiano (non solo interno al PdL).
Riporto ora l'articolo integrale, con alcune grassettature/colorature mie, anche perché resti "ad imperitura memoria" e non finisca magari cancellato "distrattamente" dagli archivi del giornale.
L'equivoco del centro
Dopo le scene di guerra totale offerte da Fini e Berlusconi il quadro politico è di nuovo in movimento. Il premier dovrà trovare un modo per neutralizzare i finiani, che sono pochi ma sufficienti per gettare sabbia negli ingranaggi parlamentari. Il Partito democratico dovrà darsi una linea, decidendo se e quanto puntare sul «compagno Fini». E’ facile prevedere, infine, che si moltiplicheranno i tentativi di costituzione di un terzo polo, ovvero di un centro capace di interporsi fra la destra e la sinistra. Queste manovre, per la verità, sono già iniziate da tempo. I liberali di Zanone sono confluiti nella neonata Alleanza per l’Italia (Api) di Rutelli e Tabacci, che a sua volta dialoga con l’Udc di Casini, che a sua volta dialoga con Fini e i finiani, che a loro volta pare abbiano un asse con le forze che contano in Sicilia (l’Mpa di Lombardo, il Pdl-Sicilia di Miccichè).
Diverse fondazioni, da FareFuturo (Fini) a Italia futura (Montezemolo), sono anch’esse in movimento con documenti, convegni, dibattiti, articoli, interviste, prese di posizione. E giusto qualche giorno prima del duello finale tra Fini e Berlusconi, dai sondaggisti sono venute le prime valutazioni: se Fini (ri)facesse An prenderebbe il 7%, se si alleasse con Casini e Rutelli arriverebbe al 13%, se poi anche Montezemolo fosse della partita tutti insieme potrebbero puntare al 16%. In breve: il bacino elettorale del centro sarebbe quasi il triplo di quello dell’Udc, e un eventuale partito dei moderati potrebbe diventare il terzo partito, e forse persino contendere al Pd il ruolo di secondo partito. Una prospettiva come questa, per quanto oggi possa apparire fantapolitica, è tutt’altro che inverosimile, e avrebbe persino una sua logica. Se nel Pd dovesse prevalere la linea dell’emergenza democratica, secondo cui il supremo interesse dell’Italia è liberarsi da Berlusconi, non possiamo escludere lo «scenario Cln», del resto già evocato nei mesi scorsi: un Comitato di Liberazione Nazionale, questa volta non sotto forma di alleanza Pci-Dc, partiti estinti, bensì come patto fra i loro esausti eredi, il Pd di Bersani e un neonato o redivivo partito di centro, uniti dal comune interesse a cacciare l’occupante (nella visione emergenziale Berlusconi è come una potenza straniera, che ha occupato le istituzioni).
Il cemento di tale alleanza, oltre alla deposizione del tiranno, non potrebbe che essere la difesa delle istituzioni democratiche, a partire dall’autonomia della Magistratura, nonché una prudente rivalutazione della prima Repubblica, specie in materia di legge elettorale (ritorno al proporzionale, voto di preferenza). Per quanto tutt’altro che privo di un suo senso politico, e anche di una sua nobiltà di intenti - primo fra tutti quello di riportare un po’ di civiltà nel confronto politico - lo scenario Cln ha almeno due punti deboli. Il primo è che non è affatto detto che Berlusconi ne uscirebbe sconfitto, specie se si votasse già quest’anno. Il problema del Cln, infatti, è che non può pensare di vincere senza allargarsi a Di Pietro e all’estrema sinistra, ma più si allarga più evoca nell’elettorato lo spettro dell’armata Brancaleone, ossia del disastroso biennio dell’ultimo governo Prodi.
Non solo, ma in caso di voto anticipato le opposizioni non avrebbero buon gioco ad accusare Berlusconi di non aver fatto nulla, perché due anni sono troppo pochi per giudicare un governo, tanto più se fin dall’inizio ha dovuto navigare nelle acque procellose della peggiore crisi economica mondiale dal 1929. Il secondo punto debole dello scenario Cln si potrebbe definire l’equivoco del centro. L’idea di coalizzare la sinistra e il centro contro la destra sembra trascurare il fatto che, sotto il profilo dell’insediamento territoriale, e quindi inevitabilmente anche del programma, il centro di cui si sta parlando è soprattutto una manifestazione del «partito del Sud», per non dire del partito della spesa. Non a caso il nucleo politico duro del discorso di Fini è stato il nodo del Mezzogiorno, ovvero il timore che il federalismo prosciughi il fiume di risorse che alimentano la spesa pubblica nelle regioni meridionali, le stesse da cui Alleanza nazionale ha sempre ricavato il grosso dei propri consensi.
Non a caso i più preoccupati del conflitto fra Fini e Berlusconi sono i politici della Lega. E ancor meno a caso i consensi dell’Udc e dell’Api, come quelli di An, sono concentrati nel Sud: l’Udc è anche il partito di Totò Cuffaro, ex governatore della Sicilia condannato in appello a sette anni di reclusione (per favoreggiamento aggravato per aver agevolato Cosa Nostra); quanto al partito di Rutelli, non ha presentato liste in nessuna regione del Nord, e ha ottenuto consensi significativi solo in Basilicata e Campania. Visto da questa angolatura il progetto di una «terza forza centrista», nato per contrastare, mitigare o neutralizzare il federalismo, cozza con un altro segmento fondamentale del centro, inteso come l’insieme degli elettori che stentano a riconoscersi sia in questa destra sia in questa sinistra. Questo secondo segmento del centro è costituito da quanti rimproverano sia al Pd sia al Pdl di avere sostanzialmente tradito la promessa di una rivoluzione liberale, che trovi finalmente il coraggio di fare le riforme economico-sociali di cui l’Italia ha bisogno: meno burocrazia, meno tasse, meno sprechi, migliori servizi pubblici.
I sondaggi suggeriscono che questo secondo tipo di centro, di ispirazione liberista e liberale, sia maggiormente insediato nel Nord, e che guardi con simpatia il federalismo, visto (forse troppo ottimisticamente) come uno strumento per contenere il partito della spesa e far ripartire la crescita. Per questo tipo di elettorato, una parte del quale oggi vota ancora Pd, le riforme economico-sociali sono più importanti di quelle istituzionali, e il dialogo con la Lega di Bossi appare più utile di quello con il nascente partito di Fini. Insomma, il punto è che ci sono due centri. Il centro moderato [sarebbe meglio dire centro immobilista, n.d.lordtojo], per cui la priorità è sconfiggere l’estremismo politico, incarnato innanzitutto da Bossi e Berlusconi, ma anche dal populismo di sinistra, da Di Pietro a Beppe Grillo. E il centro radicale [meglio: centro innovatore, n.d.lordtojo], per cui la priorità è sconfiggere il moderatismo del non-fare in campo economico-sociale, scuotere dalla sua inerzia un ceto politico che da vent’anni promette di modernizzare il Paese senza riuscirci. L’incubo del centro moderato è che il federalismo si faccia, e che possa punire il Sud: non per nulla un anno fa l’Udc di Casini votò contro la legge Calderoli, per quanto ampiamente annacquata rispetto al testo originario.
L’incubo del centro radicale, al contrario, è che il federalismo non si faccia, o si faccia male, vanificando le speranze del Nord di essere liberato dal giogo della spesa improduttiva. I due centri sono incompatibili, perché hanno priorità opposte e insediamenti territoriali speculari. Possiamo preferire l’uno o l’altro, ma sarebbe già un grande passo avanti se smettessimo di confonderli.
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7258&ID_sezione=&sezione=
Inutile dire che condivido ogni singola parte di questo raro esempio di giornalismo autentico ed oggettivo...
Lord tojo
venerdì 9 aprile 2010
Almeno su una cosa sono d'accordo con Fini!
Immagino bene che, in realtà, Fini abbia alzato il tiro sulla legge elettorale, al fine di rompere le uova nel paniere a Berlusconi ed a Bossi, aumentando la posta per dare il suo assenso alle proposte dei due leaders della maggioranza (e probabilmente sperando di mandare a monte tutto, per poter dimostrare che Berlusconi e Bossi sono inconcludenti), tuttavia è un fatto che ciò che dice sia giusto: un Parlamento di nominati dalle segreterie di partito è qualcosa di vomitevole!
Poi, se devo dire la mia, io andrei sul modello istituzionale svizzero, però è un'altra storia...
Lord tojo
martedì 6 aprile 2010
SS 45 val Trebbia: basta con le "prime donne"!
Poiché, da frequentatore ed abitante (nei mesi estivi) della val Trebbia, sono esasperato dalle condizioni tremende della Strada statale, trovo veramente dannoso che ci siano personaggi con incarichi istituzionali che si permettono di danneggiare l'operato di chi - come il sindaco Piazza di Ottone ed il presidente Trespidi - prova finalmente a risolvere concretamente il problema della 45: per questo ho deciso di scrivere questa lettera (che vedete riportata qui sotto), per solidarizzare con chi in questa impresa ci sta mettendo tempo e reputazione.
Ottone, 5 aprile 2010
Egregio Direttore,
approfitto dello spazio che il Suo giornale ci offre ogni giorno, per esprimere il mio disappunto che – da amante della val Trebbia e residente estivo in Ottone – ho provato nel leggere le polemiche montate ad arte dal Sindaco di Travo, a proposito del vertice inter-provinciale sulla SS 45 tenutosi ad Ottone alcuni giorni orsono.
Dire che certe uscite pubbliche rappresentino una vera e propria “zappa sui piedi” per tutti i piacentini, e per gli abitanti della val Trebbia in particolare, è dir poco: con la mancata partecipazione dei rappresentanti di Travo all’incontro ottonese (e con le accuse lanciate al sindaco Piazza ed all’Amministrazione provinciale sui giornali) si è riusciti nella difficile impresa di rovinare mesi di difficile lavoro di Provincia e Comuni della Valle, depotenziare un vertice che avrebbe potuto essere fondamentale ed offrire una valida scusa ai vertici ANAS per non partecipare (alludo al fatto che questi possono dire che, non essendoci accordo tra gli Enti locali, non ha senso parlare di lavori sulla SS 45).
Il Sindaco di Travo e coloro che gli sono andati dietro hanno davvero fatto un bel servizio alla Valle (se non si capisse, la mia è ironia…), per di più con motivazioni che proprio non si comprendono: era forse sbagliato fare il vertice sulla SS 45 ad Ottone, posto che quest’ultimo è esattamente a metà strada tra i due estremi (Piacenza e Genova) della Statale e che il sindaco Piazza è stato il principale promotore dell’incontro?
Voglio sperare che, dietro a questo “passo falso” del Comune di Travo, non ci siano motivazioni di piccolo cabotaggio, quali “gelosia” verso Ottone (per il fatto che ha ospitato l’incontro) e/o desiderio di danneggiare la giunta Trespidi, di segno politico avverso a quello dell’Amministrazione comunale di Travo.
Per parte mia e per quel che vale, posso solo esprimere la mia più grande vicinanza e vivo sostegno al sindaco Piazza, al presidente Trespidi, agli altri Amministratori “virtuosi” dei Comuni della val Trebbia ed alla Giunta provinciale, tutti i quali stanno finalmente cercando di fare “sindacalismo territoriale”, al fine di risolvere un problema antico e vergognoso come quello della SS 45: continuate così, ai cittadini importa la soluzione dei problemi, non i personalismi di certe “prime donne”!
P.s. Se qualcuno fosse ancora incerto sul ruolo che l’unità d’intenti degli Enti locali comporta, si faccia un giro sulla parte ligure-genovese della SS 45: troverà un’infrastruttura più simile ad una superstrada che al tratturo che la 45 è diventata in Provincia di Piacenza; questo perché negli anni passati Regione Liguria, Provincia di Genova e Comuni attraversati dalla Statale hanno fatto quadrato con l’ANAS, in una vera e propria opera di lobbying…
Lord tojo
P.s. Per chi mi legge da Facebook, ricordo l'indirizzo originale del blog:
http://tojothelord.blogspot.com
martedì 30 marzo 2010
Regionali 2010: "my two cents"...
Premessa esplicativa 1): i numeri e le percentuali che vedete nella tabella sono omogeneizzati, ovvero si riferiscono ai voti presi dai partiti nelle varie tornate nelle sole 13 Regioni interessate al voto di questi ultimi giorni. Ecco perché, ad esempio, vedrete che il PdL nelle Politiche 2008 ha preso il 35,4% e non il 37% che tutti ricordiamo.
Premessa esplicativa 2): non sono compresi, nei voti di PdL e PD, i consensi ricevuti dalle varie sedicenti "liste civiche" dei candidati-presidenti regionali.
Premessa esplicativa 3): il dato del PdL non è "normalizzato" per la mancanza della lista azzurra nella Provincia di Roma, pertanto bisognerà tenere a mente di aggiungere a quel 27,28% di queste Regionali almeno un 3% imputabile a Roma e dintorni, arrivando così circa sul 30%.
Ciò detto, è possibile fare tre considerazioni immediate ed incontrovertibili:
- dal punto di vista delle mere percentuali di voto è intravisibile una chiara tendenza al ribasso per i due sedicenti "partiti a vocazione maggioritaria", con una perdita più schietta per il Partito democratico (al di là della vulgata populi che vede Bersani sostenere di aver guadagnato rispetto alle Europee), a fronte di una più modesta ma costante crescita della Lega Nord;
- dal punto di vista dei numeri di voti assoluti, invece, il calo di consensi per i partiti è impressionante e vale per tutti, compresa la tanto acclamata Lega Nord, la quale, nei fatti, ha aumentato il proprio peso relativo solo perché è riuscita a frenare più degli altri l'emorragia di votanti;
- il divario tra le due coalizioni (sempre tenendo a mente di aggiungere circa tre punti % in più al PdL, per la storia di Roma) si aggira sugli 11 punti, sostanzialmente in linea con i dati delle Europee ed in crescita rispetto alle Politiche 2008. Vi è però la conferma del trend di una decrescente rappresentatività delle due attuali coalizioni contrapposte, le quali totalizzano "appena" il 67,68% dell'elettorato votante: se si passasse all'elettorato complessivo, è molto probabile che i partiti oggi in Parlamento (eccetto l'UdC) non rappresenterebbero nemmeno la metà degli aventi diritto al voto.
Parlando con alcuni amici e conoscenti, il calo del PdL sarebbe da attribuire all'eccessivo "appiattimento" sulle politiche e sulla retorica leghista, che porterebbe l'elettorato a scegliere l'originale invece che la copia: lettura verosimile, ma fino ad un certo punto.
A mio avviso c'è sì stato un certo sbandamento verso la Lega, ma non solo: il punto veramente dolente è che in generale un elettore potenziale pidiellino non sa tutt'ora su cosa stia mettendo la propria croce!
A seconda dell'esponente che parla od esterna, un uditore esterno poco addentro alla politica potrebbe pensare che il PdL sia il partito personale di Berlusconi (sentendo ad esempio Bondi o Quagliariello), un partito liberal-liberista quasi radicale (ascoltando Capezzone o Della Vedova), un partito social-democratico (Sacconi), di destra sociale anti-liberale (Alemanno), cattolico integralista (Marcello Pera ed a volte lo stesso Berlusconi), di destra sedicente "europea" - ma nei fatti quasi liberal all'americana - (ascoltando Fini e FareFuturo), nordista (Tremonti) o meridionalista (Fitto).
Non sapendo bene che linea politica stia "sposando", l'elettore medio che fa? O si astiene, o vota per fiducia/per conoscenza di qualche candidato, oppure si butta su ciò che almeno chiaro è, su tutti la Lega Nord.
Spero vivamente che la sbornia elettorale non faccia perdere di vista, ai dirigenti del PdL - Berlusconi e Fini in primis -, il contatto con la realtà che le urne, al di là della vittoria della coalizione, hanno consegnato riguardo al PdL: rimandare ancora una volta l'inevitabile riassetto organizzativo (che metta fine alla quasi inconsistenza territoriale), il chiarimento sulla linea politica ed una piena democrazia/meritocrazia interna potrebbe rappresentare una bomba ad orologeria, pronta a scoppiare il giorno delle Politiche 2013...
Chiudo con qualche soddisfazione personale:
- ho vinto la scommessa fatta con un amico, in merito alle Regioni che sarebbero state conquistate dalla coalizione di Governo, anche se devo dire che, quando feci le previsioni, ero certo di aver sovrastimato il risultato di PdL+Lega;
- ho azzeccato sostanzialmente il voto Regione-per-Regione della Lega Nord;
- l'amico Andrea Pollastri, del Popolo delle Libertà di Piacenza, ha avuto un meritato plebiscito per la sua candidatura a Consiglieren regionale, con oltre 8.600 preferenze, le quali sono un risultato eccezionale sia in termini relativi (rispetto al 2005, quando Pollastri prese circa 3.000 voti), sia in termini assoluti (tenuto conto che il PdL a Piacenza è andato sotto il 30%): grande Andrea! So che il mio voto non è stato buttato via e che, come hai sempre fatto anche da Consigliere comunale, saprai sempre essere a disposizione di tutti!
mercoledì 27 gennaio 2010
Sotto il travestimento da agnello, si intravede la zampa da lupo!
Come se fosse automatico votare Burlando alla Regione ed essere d'accordo con la costruzione di una moschea a Genova...
Ma veniamo al "dunque".
Tramite un link su un forum, ho letto per caso un articolo riportante le dichiarazioni di un leader islamico genovese, rilasciate ad un'emittente televisiva locale: ecco il testo integrale dell'articolo, con alcuni passaggi grassettati dallo scrivente.
A due giorni dal referendum sulla moschea voluto dalla Lega Nord, il dibattito s’infiamma con le dichiarazioni rilasciate all’emittente televisiva Primocanale da Lekroune M'Hamed, presidente del movimento politico "Italia colorata” di Genova. “Ho paura che qualcuno capisca male e di fronte alle continue polemiche della Lega Nord contro la moschea, che generano solo odio, c’è –riporta Primocanale.it- chi potrebbe compiere atti estremi, peggio delle semplici risse che accadono nei vicoli del centro storico, e magari decide di farsi saltare in aria. Lancio questo allarme –ha aggiunto M’Hamed– perché negare un diritto rischia di provocare una reazione peggiore. L'allarme l'ho lanciato a chi comanda questa città perché se mi togli un diritto divento violento. Ciò che fa la Lega crea un odio verso l'italiano da parte della comunità straniera; gli immigrati non hanno più fiducia. Intanto c’è chi sa che anche se si comporta onestamente, non ottiene nulla. Se non ci faranno fare la moschea, allora perché dovremmo essere onesti? Questo è l'odio creato da una politica leghista che crea la paura anche tra di noi. E quando uno è colmo, si sfoga”.
Salah Hussein, presidente della comunità islamica di Genova, sempre attraverso l’emittente genovese ha condannato le dichiarazioni: “Non possiamo comunque condividere queste dichiarazioni, sicuramente la Lega Nord ha creato un clima di odio che non facilita l’integrazione ma noi abbiamo sempre cercato di evitare la contrapposizione visto che siamo un movimento religioso e non politico”.
Non vi sembrano un tantino esagerate ed arroganti le affermazioni di questo tale e decisamente poco moderate?
A titolo d'esempio, provate ad immaginare le stesse parole nella bocca di un prete cattolico/ortodosso o di un pastore protestante, riferendosi alla libertà religiosa in molti Paesi arabo-musulmani: probabilmente sarebbero su tutte le pagine dei media occidentali, dove fior-fior di "esperti" sproloquierebbero sulla necessità di non fomentare gli islamici, di rispettare la cultura e le tradizioni di quei Paesi, di non fare "inutili provocazioni", etc. etc.
Qui invece tutto si risolve in qualche riga su un quotidiano online di provincia...
Concludendo, segnalo un'interessante proposta per il problema-moschea, proveniente dal MIL (Movimento indipendentista ligure), gruppo apartitico che contesta la legittimità dell'annessione della Repubblica di Genova al Regno di Sardegna nel 1815: i membri del MIL propongono, con questo comunicato-stampa, di situare la moschea dove era già nel '500, quando Genova era una ricca repubblica marinara cosmopolita e la presenza di musulmani (soprattutto commercianti) era rilevante; ovvero presso il Porto.
Un'idea interessante, per coniugare volontà popolare (di chi non vuole la moschea sotto casa), tradizione (della Repubblica di Genova) e tutela della libertà religiosa.
P.s. Ovviamente, si spera che qualunque edificio religioso sia a spese dei fedeli e delle comunità islamiche!
Ricordo, a coloro che leggessero i miei interventi tramite le note di Facebook, qual è il "vero" indirizzo del blog:
http://tojothelord.blogspot.com
sabato 23 gennaio 2010
Eppur si muove (il treno)!
Bella gente, inaspettatamente torno abbastanza presto sul blog, per raccontarvi di un interessante esperimento che la Provincia di Biella sta portando avanti in tema di Trasporto pubblico locale (TPL), in particolare ferroviario.
E' abbastanza nota, almeno per i cittadini (specie se pendolari) piemontesi ed "addetti ai lavori" del settore ferroviario, la "rottura" che c'è stata tra Regione Piemonte e Trenitalia, in merito al rinnovo del Contratto di servizio - formula altisonante per dire che le Regioni, titolari della legislazione in termini di TPL, pagano fior di quattrini a Trenitalia, affinché questa continui a far andare gli scassatissimi treni regionali.
A causa di ciò, il Governatore piemontese - Mercedes Bresso - ha deciso di mettere a gara pubblica internazionale l'affidamento del Contratto di servizio ed i relativi sussidi: per farla breve, sempre che le Elezioni regionali non portino sconquassi, quest'anno dovrebbero svolgersi gare di "appalto" per le varie tratte ferroviarie regionali, con il vantaggio che esse saranno suddivise in lotti (e.g. Milano-Torino, Alessandria-Piacenza, etc.), così da non scoraggiare i potenziali concorrenti con un "boccone" troppo grosso per essere ingerito.
Bene.
All'interno di questo quadro generale significativamente lanciato verso una liberalizzazione vera del servizio ferroviario passeggeri e la fine del monopolio di Trenitalia, vi propongo una storia molto interessante, proveniente appunto da Biella (notare che parliamo sempre di Piemonte).
L'articolo è auto-esplicativo e non necessita di commenti da parte mia: dico solo, per correttezza, che è stato tratto dal sempre ottimo sito clickmobility.it, che invito caldamente a seguire, nel caso vi interessino i temi della mobilità e del TPL.
I treni diretti per Milano e Torino sempre più vicini. Una risposta concreta a quanti viaggiano quotidianamente verso le metropoli per lavoro e studio
Biella punta all'uscita dal sistema ferroviario regionale e va alla ricerca di un’ azienda privata
La novità ha già un nome: Arenaways, società di Alessandria che ha presentato la sua offerta economica per l’attuazione del servizio. Il prossimo passo - spiegano in Provincia - sarà il coinvolgimento e la presentazione della società alle istituzioni per giungere ad un accordo che permetta di far fronte alla richiesta economica
In mancanza di un serio progetto della Regione Piemonte, che detiene la competenza del trasporto ferroviario, la Provincia di Biella ipotizza di muoversi autonomamente “alla ricerca di un’affidabile azienda privata che fornisca un efficiente servizio di trasporto che unisca in modo diretto ed in breve tempo Biella ai due principali capoluoghi del Nord, Milano e Torino.
Il nostro territorio - spiegano in Provincia - non può permettersi di stare a guardare ed attendere, pertanto abbiamo deciso di muoverci autonomamente”.
Ieri mattina il presidente Roberto Simonetti, insieme all’assessore ai Trasporti Luca Castagnetti ed all’assessore al Bilancio Pier Giorgio Fava, ha tenuto una conferenza stampa sul tema fondamentale del trasporto ferroviario biellese.
Il presidente ha aperto manifestando la profonda volontà dell’amministrazione provinciale di far uscire il territorio biellese dall’attuale stato di “felice isolamento” e dare una risposta concreta a tutti coloro che sono costretti a viaggiare quotidianamente verso le metropoli per raggiungere il posto di lavoro.
La novità ha un nome ben preciso, la ricerca dell’azienda privata risponde alla realtà di Arenaways, società di Alessandria che ha già presentato la sua offerta economica per l’attuazione del servizio.
“L’offerta pervenuta da Arenaways – spiega Castagnetti - riguarda la copertura delle tratte da Biella a Milano e da Biella a Torino, e voglio sottolineare che in poco più di un’ora, esattamente in un’ora e 12 minuti si raggiunge la stazione di Rho, che è a poco più di dieci minuti di metropolitana dal centro di Milano. Un punto di forza di questa proposta è la frequenza dei collegamenti diretti, ne sono infatti previsti ventidue ogni giorno, undici da Biella a Milano e undici da Milano a Biella, coprendo un arco orario che va dalle 6 alle 23. Sono invece dodici i collegamenti con il capoluogo piemontese”.
Illustrando i termini dell’offerta il presidente ha spiegato la necessità di un coinvolgimento di tutto il “Sistema Biella” per far fronte alle richieste economiche dell’azienda, che si aggira tra i 500 ed i 600mila euro annui. La società alessandrina ha previsto di coprire circa la metà dell’investimento con i proventi della biglietteria ed accollandosi il restante a titolo di rischio di impresa.
“Auspico – ha proseguito il presidente – che le istituzioni locali partecipino alla realizzazione di questo progetto, che potrà spiccare il volo già da giugno 2010. Voglio ancora epidenziare che non sarà un vantaggio solo per i biellesi ma avrà anche un notevole valore attrattivo nei confronti di chi oggi vive e lavora a Milano, che potrebbe decidere di trasferirsi nel biellese, con costi immobiliari e di vita inferiori rispetto alla metropoli lombarda e con una qualità della vita decisamente superiore”.
Il prossimo passo sarà dunque il coinvolgimento e la presentazione di Arenaways alle istituzioni per giungere ad un accordo che permetta di far fronte alla richiesta economica.
“Spero – ha concluso Castagnetti - di dover convocare una nuova conferenza stampa nei prossimi giorni per annunciare la conclusione dell’accordo e quindi la partenza dei collegamenti da giugno 2010”.
(19 gennaio 2010)
Manu Mich. - clickmobility.it
Lord tojo
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