La verità è che questi giorni di proteste di studenti fuoricorso/fannulloni (la gran parte: basti vedere quanti anni hanno i "capi" della "ribellione") e professori ex-sessantottini mi hanno fatto venire voglia di approfondire il tema delle risorse della scuola e dell'università, chiedendomi se davvvero almeno una parte di ragione ce l'abbiano.
Così ho cominciato un po' ad informarmi, ho letto i passaggi della legge, seguito vari dibattiti, parlato con Iside (che fa la ricercatrice e quindi l'università la conosce bene), arrivando alla conclusione paradossale che entrambe le parti hanno ragione: ha ragione la Gelmini a dire che nella scuola/università esistono una marea di sprechi (posso citare la famigerata ploriferazione di corsi di laurea e sedi universitarie distaccate con un solo allievo!); hanno ragione (su alcune cose) gli studenti/ricercatori a dire che i tagli alla fine si ripercuotono sempre su di loro - "anelli deboli" del sistema e senza particolari "protezioni", se non strumentali - senza mai toccare gli altrettanto famigerati "baroni" che stabilmente se la cavano sempre.
Perchè? Forse per mancanza di sufficienti "palle" da parte dei vari ministri - compresa la Gelmini che, natura dominae, non possiede certi attributi -, molto probabilmente per scarsa conoscenza delle vere dinamiche di potere di lobbing interne alle strutture formative italiane. Strutture dove persiste l'omaggio feudale al Capo-Dipartimento e dove l'apparato amministrativo ha un potere gerarchico tale su quello tecnico-docente da umiliarlo più e più volte nei modi peggiori.
E' chiaro che una persona, anche armata di buona volontà ma non addentro alle logiche di potere di quegli ambienti, non potrà mai produrre una riforma decente e definitiva del sistema scolastico-universitario.
Vi è poi il problema annoso dei tagli - dolorosi ma necessari - ma che pongo sempre di fronte all'eterno dilemma "dove tagliare?", il quale porta sempre a scontentare qualcuno poichè tutti i destinatari della "cesoiata" si sentiranno più o meno giustamente "perseguitati".
Ecco, è proprio qui il nocciolo della questione. Da sempre in Italia, quando si tocca qualche settore, si sente sempre un eco di "vendetta" (politica, personale, classista), e questo accade per la mancanza di un criterio oggettivo - volevo dire "scientifico" - per valutare virtuosi e viziosi, ad oggi sempre sostituito dal sentimentum del legislatore che, quasi alla cieca, emette "sentenze" e commina punizioni una tantum.
E' qui che si comincia a capire il perchè del titolo di questo intervento.
Poichè credo sia umanamente impossibile che un Ministro possa conoscere la realtà di ogni singola scuola/università italiana, l'unica soluzione ragionevole che mi viene in mente è quella dell'applicazione di un sano, robusto e inappellabile Federalismo: voi direte "cosa c'entra?", ma leggete e capirete.
Stante che lo Stato italiano - come gli altri Stati europei ed occidentali - dispone di risorse scarse (ed in tendenziale diminuzione), è facilmente intuibile come esso non possa continuare a mantenere con i propri denari tutta l'attuale sistema di università e scuole, soprattutto quelle più disagiate (in montagna, nei paesini di campagna, etc.).
D'altra parte è sbagliato anche chiudere per decreto scuole ed università, proprio perchè difficilmente compresibile dalle comunità interessate, che giustamente griderebbero alla "persecuzione" nei loro confronti.
La soluzione può venire dall'applicazione del famoso criterio oggettivo di cui sopra.
Stabiliamo 1-2-3 parametri scientifici che misurino la qualità dell'insegnamento, la produttività della ricerca e l'economicità della gestione; quindi stabiliamo degli standard nazionali non rispettando i quali lo Stato centrale abbia il diritto/dovere di smettere di finanziare con denaro pubblico centrale le scuole e le università statali. Le strutture che - per inefficienze interne o per cronicità strutturali - non rientreranno negli standard potranno scegliere tra due opzioni:
- chiudere baracca e burattini, stavolta però con una giustificazione identica per tutti, e non più attribuibile a "vendette" e "complotti";
- restare aperte tramite un aumento delle tasse (o quelle di iscrizione/frequenza o quelle direttamente pagate dai cittadini della comunità cui la struttura "critica" afferisce).
Sono sicuro che con un sistema di questo genere non solo si eviterebbero moltissime strumentalizzazioni che si vedono in questi giorni - perchè è più difficile cercare di smentire i crudi numeri rispetto ad una decisione personale di un Ministro - ma credo anche che molte strutture, oggi cronicamente in perdita ed in crisi, si risolleverebbero, spronate dalla "spada di Damocle" del rispetto dei parametri: una sorta di Patto di Stabilità delle strutture pubbliche sul modello di Maastricht.
Voi vi chiederete anche perchè il titolo comprende la sanità. Molto semplice: lo stesso criterio si potrebbe benissimo applicare al Sistema Sanitario Nazionale con - ritengo - ottimi risultati in pochissimi anni. Ma di questo parlerò (se avrò voglia) un'altra volta...
Un caro saluto a tutti i pochi sbandati che leggeranno!
Lord tojo